La rubrica giovane e irriverente di Nicolò Battaglia
Quel pomeriggio il cielo era più grigio dell’asfalto in terra. Carlo aspettava davanti alla chiesa di San Giorgio, assieme a tutti gli altri. Nessuno parlava più con lui da quando aveva quasi ammazzato di botte Paolo, più di dieci anni prima.
Ma era passato così tanto tempo ormai. E Paolo stava quasi arrivando.
Erano amici. Erano “Gli Amici”, quelli che vedevi sempre assieme, quelli che si scambiavano le morose come figurine, quelli che non si erano mai davvero divertiti se non c’era anche l’altro, quelli che si conoscevano talmente bene che era imbarazzante.
Poi arrivò Daniela. Arrivò come un tornado e come un tornado, dopo aver distrutto tutto, scomparve all’orizzonte, lasciando dietro di sé solo macerie, rimpianti e desolazione.
Ma era troppo semplice dare la colpa a lei. La verità è che quando le cose vanno bene così come sono, ci vuole davvero poco per trasformarle in un inferno. E l’ultimo decennio fu davvero un inferno per Carlo.
Aspettando sul sagrato gli tornò in mente di quando, da bambini, lui e Paolo, erano i padroni incontrastati del quartiere. Non c’erano tutte quelle strade, quelle rotonde, le automobili.
Solo un grande prato verde dove nascono speranze, lo cantava pure Gianni. Una moltitudine di ragazzi, sempre in giro, e non avevano il problema del cellulare e “chissà dove sei”, eri lì, sul prato, dai cinque ai venticinque anni. Gli anni più belli.
Mentre immagini in tinta seppia gli passavano davanti agli occhi, Carlo si accorse che era arrivata la macchina, lunga e nera. Le persone sul sagrato fecero spazio ammassandosi ai lati. In modo che potesse parcheggiare davanti all’ingresso della chiesa.
Portarono dentro Paolo e tutti entrarono al seguito perché iniziava la messa e il monaco chissà quali belle parole avrebbe usato.
Ma Carlo non era entrato.
Era rimasto lì fuori, immobile. Piangeva. Piangeva e non riusciva a fermarsi.
Avrebbe voluto chiedergli scusa. Avrebbe voluto stringerlo forte a sé dicendogli che gli dispiaceva, che non aveva senso tutto quello che era successo tra di loro, che era più di un fratello per lui e ogni giorno da “quel giorno” non aveva fatto altro che torturarsi per quello che gli aveva fatto.
Ma ormai era troppo tardi.
Racconto originale di Nicolò Battaglia
Foto originale di Franco Colla
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